lunedì 24 gennaio 2011

LA PARABOLA DELLO SCRITTORE DILETTANT

(La mia verità sul dilettantismo digitale)

Uno scrittore professionista è un dilettante che non ha mai smesso di scrivere.

(Richard Bach, Un dono d'ali, 1974)

Sono nato nel 1989. La mia generazione è cresciuta dal primo anno di vita in
Internet. Arpanet a quell’epoca collegava già più di centomila computer e sarebbe
sparito l’anno dopo per dare spazio al linguaggio html. Nel 1991 il CERN annuncia la
nascita del World Wide Web. Da lì tutto cambia. Nei primi anni 2000 ero “abbastanza
grande” per usare il computer e sono diventato uno dei 200 milioni di utenti in tutto
il mondo. Al momento attuale gli utenti sono più di un miliardo il che equivale a un
sesto della popolazione mondiale. Detta in questi termini la situazione non è così
grande come in realtà è, visti gli altri milioni di persone che coinvolge indirettamente
o direttamente il Web.

Il mio primo approccio alla rete, al Web 1.0, è stato nel 2000, a 11 anni, con un
computer dinosauro che occupava gran parte della mia scrivania. Windows 98,
pixel grandi come dadi. La vera svolta e il mio ingresso ufficiale nel mondo della
rete è proprio a cavallo di quel dinosauro con una risoluzione bassissima. Nel 2001
Il primo sito che ho conosciuto davvero è stato libero.it, che fino a qualche mese
fa compariva anche come dominio nel mio indirizzo e-mail con un imbarazzante
soprannome che usavo a quell’epoca. Libero mi ha introdotto ai primi, rudimentali
metodi di ricerca anche se rimaneva paurosamente complesso da capire per me,
bambino di periferia con la predilezione al campo da calcio vero piuttosto che
a quello virtuale. Per i primi anni le e-mail sono tutto ciò che ho utilizzato della
rete, insieme alla modalità di ricerca on-line dell’enciclopedia virtuale Encarta. Il
99% delle mie ricerche scolastiche delle scuole elementari e medie partivano da
Encarta. Era la mia salvezza. Una Wikipedia ante tempore che ha chiuso i battenti
nel 2009 certamente a causa del predominio incontrastato della cultura “wiki” e del
suo più grande output: Wikipedia. Dalle mail su libero e dalle ricerche su Encarta
in pochi anni le cose sono cambiate ad una velocità impressionante. Come tutti i
miei coetanei ho salutato con meraviglia l’arrivo nel 2003 di Msn Web Messenger e
della sua chat che mi ha fornito di certo il primo modo di comunicare velocemente
senza spendere una lira (oltre certo a quello più normale, ma ormai banale che era
diventato il telefono fisso o lo spostamento materiale).
Le mie ambizioni di giornalista hanno cominciato a prendere forma concreta proprio
in quell’anno. Sono diventato uno scrittore “dilettante” (come mi chiamerebbe
Andrew Keen) nel 2005, a sedici anni quando ho pubblicato il mio primo pezzo sul
mio primo blog. La piattaforma era Msn Windows Live ed ero affascinato in modo
totale dalla prospettiva di poter urlare al mondo ciò che pensavo. Ero un adolescente
traboccante di ideali, di passioni e di speranze. E potevo parlare ad un pubblico
vastissimo. Mi ci sono gettato a capofitto anche grazie al nuovo computer che avevo
comprato. Una macchina relativamente più piccola della precedente con uno
splendente schermo piatto a diciassette pollici. Nella mia carriera di scrittore, lo
preciso, tre cose sono state fondamentali: le piattaforme su cui ho scritto, le machine
che ho usato e il nome con cui mi firmavo. Per quanto riguarda la firma, ho sempre
usato il mio nome e il mio cognome. Volevo, narcisisticamente che le mie opere mi
venissero attribuite. Volevo, già da ragazzino che la gente sapesse che ero io a
scrivere. Non mi sono mai nascosto dietro nickname. Probabilmente è anche di me

che parla Keen quando teorizza il narcisismo digitale e le sue implicazioni. Il Web mi
ha aiutato ad uscire dal guscio, mi ha permesso di dare concretezza, tramite l’upload
dei mie testi, alle mie idee. Il mio blog, però, per il primo anno venne seguito da una
persona. Fu una sofferenza colossale. Una mia compagna di classe del liceo, la mia
unica e a quel punto triste lettrice però per mesi mi esortò a continuare perché
(inspiegabilmente) le piaceva il modo in cui scrivevo. Dopo qualche mese la mia
prima lettrice cominciò a pubblicare i miei pezzi sul suo blog, molto più frequentato e
letto del mio e di colpo venti, trenta persone al giorno mi leggevano. Lentamente i
numeri sul contatore del mio blog cominciarono a crescere sempre più. Cominciavo a
scrivere pezzi sempre più ben congegnati, storie, articoli di critica, racconti inventati,
infiniti pamphlet. Non avevo limiti. Un giorno parlavo di politica, il giorno dopo
raccontavo di cosa significasse per me la parola felicità. Il numero dei mie followers
aumentava e io, dalla mia stanza nel mio paesino, mi sentivo uno scrittore vero. Quel
blog mi ha fatto credere in me stesso, nelle mie capacità o mi ha illuso? mi ha
cacciato fuori strada, mi ha fato credere di essere qualcosa che non ero?
2006. Arriva Facebook, lanciato due anni prima da un nerd di Harward. Entra in un
anno e mezzo in tutti i computer dei ragazzi italiani e in altri due in tutti i cellulari
e tablet. Facebook è la rivoluzione dell'easy-blogging. Una piattaforma unica che
consente di chattare, inviare e-mail, condividere link da ogni parte della rete,
immagini, foto, video, creare eventi e in ultimo, ma parte fondamentale dell'idea,
commentare tutto questo.
Sono stato uno dei primi studenti italiani ad utilizzare Facebook perché
nell'estate del 2006 mi trovavo con la mia classe negli Stati Uniti per uno scambio
interculturale. Là Facebook era già il social network per eccellenza e, tornato a casa,
avevo il mio bell’account sul quale ancora oggi si può leggere nelle informazioni
personali alla voce istruzione "Tatnall High School" e alla voce luogo "Willmington,
Delaware".
Facebook è probabilmente il fenomeno della rete che è esploso più rapidamente
e che ha investito il maggior numero di utenti in assoluto. 500 milioni di utenti
nel mondo nel 2010. In italia in due anni si è arrivati a circa 18 milioni di utenti
registrati.
Non potevo più gestire il blog su Msn, ormai abbandonato dalla maggior parte dei
miei amici, e anche la mia pagina Facebook così ho lasciato per sempre il mondo
Msn, la chat, l'indirizzo mail (il secondo della mia vita, molto più imbarazzante
del primo visto che l'avevo creato nel periodo di fissa adolescenziale per Kubrick
e Arancia Meccanica: lattemigliorato@hotmail.it. ). Mi sono tuffato nel mondo
Facebook con un buon curriculum alle mie spalle: due anni di blogging intenso
con un buon numero di visite, letture e commenti. Per qualche mese ho smesso di
scrivere e mi sono concentrato sul modo migliore di utilizzare il social network che
nel mondo stava diventando indiscusso re del Web 2.0. In pochi mesi avevo acquisito
inconsapevolmente , oltre che un’ottima conoscenza del "mezzo" , anche una nuova
grammatica, una nuova semantica, un nuovo modo di parlare. Sono diventato
madrelingua facebookiano. Taggavo continuamente i miei amici nei miei Album
fotografici, Condividevo Link, Mandavo e Ricevevo Richieste di Amicizia, Aggiornavo
il mio Stato.
Lo scrittore che ero stato però scalpitava ancora in me e così ho cominciato a
scrivere Note. Così si chiamano le uniche parti scritte in forma di blog su facebook.
Taggando all'interno tutti gli amici che avevo, oppure alle volte selezionandone
una parte. Decidevo insomma a chi e quando far leggere le mie "opere". Un buon
riscontro anche qui. Molti commenti e a volte la condivisione delle mie parole sulle
pagine di altri mi davano una bella soddisfazione. Ero uno scrittore ancora più

competente.
Dopo aver assimilato ogni aspetto di questa piattaforma ho capito che Facebook è un
gioco. Un gioco nel quale molti, tra cui anche io, riversano le proprie esperienze e le
raccontano senza timori, ma sempre un gioco. Per lo scrittore che volevo essere ci
voleva qualcosa di più serio. In due sensi. Sono passato nello stesso anno a Mac e al
bloggin più serio. Ci è voluto poco per aprire la mia pagina “seria” sulla piattaforma
blogspot.com sulla quale scrivo abitualmente ancora oggi. Sfondo bianco, testo nero.
Quello che conta sono le parole. Nient’altro. Niente foto, niente video, niente orpelli
inutili. I risultati si sono fatti vedere subito: Vengo letto pochissimo. Ma mi sento più
vero.
Facebook ha contribuito all'illusione di essere uno scrittore? ha minato ancora
di più le mie possibilità?
Il Web, nelle sue varie forme è stato a tutti gli effetti il mio primo editore. Nel Web
ho avuto il mio primo pubblico e a dirla tutta nel Web c'è anche il mio "pubblico
attuale". Perchè nel frattempo dal 2010 scrivo per un sito on-line di informazione
sportiva. Con un Capo redattore vero, che mi da compiti veri, in tempi veri (e a volte
molto limitati).
Adesso la mia pagina di Facebook è ancora attiva, ho circa 800 amici, la visito
quotidianamente, carico ancora le mie foto e aggiorno i mie stati. I miei stati, tra
l’altro, vengono commentati molto più dei miei post seri sul mio blog serio.
Il Web 2.0 e tutte le sue implicazioni alla fine dei conti mi hanno aiutato e mi
aiutano tutt’ora. E' anche grazie a quel blog su Msn che ho deciso che avrei studiato
giornalismo all'università, grazie a qui giorni passati a leggere i commenti di
apprezzamento o di critica ai miei post da parte di amici e sconosciuti. La rete in
questo senso mi ha dato la possibilità di avere in poco tempo un riscontro su ciò
che creavo. Da dilettante a dilettanti. Ma non solo perché a volte erano anche alcuni
professori a commentare le mie storie. Essere un dilettante non vuol dire essere un
arrogante. Vuol dire, almeno nel mio caso, voler diventare professionista. A nessuno
sta bene l'attributo dilettante. Nessuno ne fa un vanto. Perché significa essere parte
della massa, un punto indistinto in un mare di account, e, alla fine, in un mare di
0 e 1. Il dilettantismo virtuale in rete mi ha aiutato a capire di voler diventare un
professionista reale. E' stata un ottima palestra. Ma dopo molto allenamento a
chiunque viene voglia di gareggiare sul serio e quindi, fuor di metafora, di entrare
nel mondo reale.
Essere un giornalista dilettante nel mondo del Web 2.0 significa conoscere il più
possibile. Eclettismo è la parola chiave. Un dilettante per essere eclettico ha bisogno
di fonti inesauribli e sempre fresche. Ha bisogno di poter prendere tutto ciò che può
da tutto. Ha bisogno, come nel mio caso, di avere la barra dei link veloci al Web piena
di tutto. Corriere della Sera.it, Repubblica.it, il Fatto Quotidiano.it, Youtube, Times,
Post, Reuters, Behance, Facebook, Twitter, Pianeta-calcio (il sito per cui lavoro),
Google e tanti tanti altri ancora. Un’occhiata sul mondo ottenibile in pochi istanti
seguita poi da un approfondimento dei temi principali. Per poter avere il quadro
completo (anche se di fatto impossibile) bisogna per prima cosa avere le notizie e
poi poterle assaporare, gustare e metabolizzare. Tutto ciò è impossibile da fare in
una sola lettura, in un solo ascolto, in una sola osservazione. Per questo e per altri
motivi il dilettante, io in prima persona, scarica dal Web contenuti. Che siano audio
video o testo. Per poterne avere una lettura più approfondita. Per comprendere
meglio. Per sapere di più e coglierne le sfumature. Ma questo è illegale il più delle
volte e lo si fa tramite siti specializzati nel file sharing.
Ma questo è un male? E’ più importante avere persone colte o persone
ignoranti che non si possono permettere dischi libri e film?

E' vero, forse il Web 2.0 sta uccidendo il mercato culturale, il mercato artistico,
ma non sta impedendo all'arte di vivere. Chi scarica illegalmente commette reato
ma approfondisce la propria cultura personale. Chi scarica illegalmente lo fa
generalmente per prodotti verso i quali non ha un interesse forte. Chiunque abbia
davvero una passione per un gruppo, o un regista prima o poi comprerà il cd o il
dvd. Lo farà perchè la passione è fisica e non basta un file per vederla soddisfatta.
Continuerò a comprare libri, a comprare dvd, a comprare dischi che valgono, ma
continuerò anche a scaricare dalla rete che è diventata “il negozio più vicino a casa”
in cui ci indirizzavano le pubblicità degli anni novanta.
La diffusione della cultura nel Web 2.0 è qualcosa di eccezionale. Il Web è la vera
Esposizione Universale. A tutte le ore, tutti i giorni. Chiunque presenti materiale
culturale su Internet può essere visto da chiunque. Non è questa una delle cose
più importanti per un artista? Cioè diffondere il più possibile le proprie opere, la
propria arte, il proprio modo di vedere il mondo? I soldi non sono mai stai la prima
preoccupazione dell’artista. Chi ha detto che si debba vivere di sola arte? L’arte non
può essere una parte della vita di tutti? Fare l'artista, in qualsiasi campo, non può più
essere un lavoro esclusivo. Fare arte è una passione spontanea e innata nell'uomo
e di sicuro non cesserà di esistere solo perchèèla diffusione virale delle opere porta
alla perdita di denaro in forma di copyright.
Forse la rete sta davvero democratizzando la società ponendo come base la
diffusione libera e fruibile da tutti dei contenuti. Forse davvero la rete allenterà
il gap tra i troppo ricchi e i troppo poveri. Penso a cantanti multimilionari che
vedono le copie dei propri album rimanere nei negozi ma nello stesso tempo venire
scaricati illegalmente a una velocità eccezionale. La coda lunga di Chris Anderson
è esattamente questo. Fare arte potrebbe non bastare più. Ma questo sarebbe un
problema? La differenza tra un dilettante e un professionista si nota subito, esso sia
uno scrittore, un pittore, un musicista o un muratore. Quindi è solo una questione di
dare spazio a tutti, ai professionisti e ai non professionisti.
Probabilmente la rete, che vedo come un enorme libreria non deve spaventare così
tanto. Come in una libreria vera, fatta di mattoni e libri di carta, ci si può trovare
di tutto dentro. Dal best seller campione d'incassi al primo libro di un aspirante
scrittore di diciassette anni di Verona. Dalle raccolte di ricette di Antonella Clerici
alla Critica della ragion Pura di Kant. La base di tutto, il concetto su cui si basa
l'utenza della rete e della libreria è quello di scelta. E la scelta è individuale e unica
perciò diversa gli uni dagli altri.

Il Web 2.0 ha dato delle possibilità a tutte le voci di farsi sentire, ma non ha
obbligato tutti ad ascoltare. Ha permesso anche ad artisti emergenti di farsi conoscere
in poco tempo e da una vasta gamma di utenti, cosa che fino a qualche anno fa era
impensabile. Ci volevano centinaia di concerti per tutto il paese. Ora con un brano su
Myspace si può venir contattati per suonare ovunque, facendo ripartire cosi il mercato
del live che è quello naturale e reale della musica. La rete permette agli artisti di creare
mostre virtuali con le proprie opere che possono vendere tranquillamente on-line. La
rete dà ai giovani artisti una possibilità che gli artisti di vent'anni fa non avevano, quella
di esporre al mondo intero le proprie opere con un click, di ricevere apprezzamenti,
critiche, consigli. Un esempio che calza a pennello è quello dei siti che raccolgono
il meglio delle opere dei designer del Web. Penso a Behance.com, a FFFFound.com.
Piattaforme create per dare risalto ai giovani designers della rete, dilettanti e (il più
delle volte) non. Un altro esempio è quello di MySpace, piattaforma molto conosciuta
in Italia con all’attivo 70.000 gruppi iscritti. Usata principalmente dai gruppi musicali
fornisce blog preimpostati nei quali è possibile inserire foto e brani da ascoltare.

MySpace è forse il più commerciale dei social network nel senso che la maggior parte
dei profili professionali degli artisti sono curati dalle etichette che li gestiscono e quindi
sono solamente pagine pubblicitarie, piene di banners di ogni tipo. Ma MySpace è stato
anche il fortunate trampolino per importanti artisti come gli Artick Monckeys e The
Kooks. Spesso capita che sconosciuti utenti della rete si trasformino in celebrità. In Italia
penso a Willwosh, nickname di Guglielmo Scilla, il ventiduenne romano più conosciuto
di Youtube che grazie ai suoi video divertenti si è guadagnato la parte di protagonista in
un film recente; o a Chiara Ferragni, il cui blog di moda theblondsalad.com, è uno dei più
seguiti della rete e le ha permesso di lavorare con grandi brand della moda mondiale.
Dilettanti con delle potenzialità nel loro campo che la rete ha reso “idoli” e li ha fatti
passare dal mondo virtuale a quello reale.